venerdì 22 Novembre 2024

Viaggi a Oriente: fotografia, disegno, racconto

Parma – Oltre trecento opere in mostra, cominciando da Vivant Denon e dalla Description de l’Egypte, la grande impresa di documentazione voluta da Napoleone sulla terra dei faraoni e pubblicata fra il 1809 e il 1829 (edizione Panckoucke) in Francia.

A seguire, le litografie di David Roberts, i primi dagherrotipi di Girault de Prangey realizzati attorno al 1841 e, ancora, le fotografie di Maxime Du Camp, compagno di Gustave Flaubert nel viaggio in Oriente (1849-1851).

Vengono quindi le immagini di decine di atelier di grandissimi fotografi, ampiamente documentati, da James Robertson a Francis Frith, da Antonio Beato ai Bonfils, a Indiveri, a Pascal Sébah, a Hippolyte Arnoux, a Luigi Fiorillo, agli Zangaki per chiudere alla fine del secolo con le foto dell’American Colony.

Il racconto per immagini proposto in mostra è quello del viaggio nell’Oriente Medio – il territorio che andava dalla Grecia alla Turchia e dalla Grande Siria all’Egitto – nel periodo compreso tra la spedizione napoleonica in Egitto e la caduta dell’Impero ottomano. È il viaggio dei fotografi e degli scrittori, il viaggio lontano delle fiabe e quello più recente del romanzo, da Gérard de Nerval a Pierre Loti, il viaggio dei pellegrini e quello dei turisti, che si farà sempre più organizzato dalla Cook e dalle altre agenzie.

Roberts-Gate-of-Damascus
Roberts-Gate-of-Damascus

Il viaggio che si propone non è il Grand Tour alle radici della civiltà occidentale ma un percorso diverso, un affondo nel mito, nel racconto che si è delineato soprattutto in Francia quando, fra il 1704 e il 1717, Edmond Galland pubblica a Parigi la traduzione de Les mille & une nuit, contes arabes, favorendo così la costruzione di un mondo di sultani e odalische, di moschee e di suk.

L’Oriente di cui si racconta è metafora di una terra perduta dal tempo delle crociate, il luogo dove si sovrappongono tre pellegrinaggi (quello al muro del pianto degli ebrei, quello alla tomba di Gesù dei cristiani, quello alla cupola sulla roccia dei maomettani) e il luogo dello scontro fra due imperi, quello francese e quello inglese.

È in questo contesto politico che vanno lette le oltre trecento immagini della mostra, molte delle quali narrano anche le vicende di decine di atelier fotografici da Atene a Costantinopoli, da Gerusalemme a Damasco, da Alessandria d’Egitto a Suez.

Bonfils-Palestine-Jerusalem-Saint-Sepulcre
Bonfils-Palestine-Jerusalem-Saint-Sepulcre

Si tratta di un racconto per immagini poco conosciute in Italia, molto di più in Francia, Inghilterra e Stati Uniti, qui documentato attraverso le importanti collezioni dello CSAC dell’Università degli Studi di Parma e, ancora, attraverso quelle della Biblioteca Palatina di Parma che possiede ben due copie della Description voluta da Napoleone.

Per comprendere la cornice narrativa entro la quale interpretare le scelte dei disegnatori e dei fotografi si deve risalire al racconto letterario. Mentre le Lettres Persanes di Montesquieu (1721) e il Candide di Voltaire (1759) illustrano la violenza, anche sessuale, di un oriente mitizzato, René de Chateaubriand col suo Itinéraire de Paris à Jérusalem et de Jérusalem à Paris (1811) confronta le tre religioni monoteiste per dimostrare la superiorità di quella cristiana.

Victor Hugo nel 1829 pubblica le poesie Les orientales ed esalta l’indipendenza della Grecia dall’Impero ottomano mentre nel romanzo Notre Dame de Paris (1831) è protagonista identitaria della nazione francese proprio l’enorme, misteriosa cattedrale gotica. Attorno alla metà del secolo, Théophile Gautier e Gérard de Nerval spostano l’attenzione sui misteri del mondo egizio. Da ultimo Pierre Loti, nel 1879, pubblica Aziyadé un romanzo ancora nel segno de Le mille e una notte, la storia dell’amore di un occidentale, lo stesso Loti, per una donna araba segregata in un harem.

In queste suggestioni letterarie, la città araba è quasi sempre soltanto uno sfondo dove i fotografi scoprono le figure tipiche: cammellieri, contadini, pescatori, falegnami, ma anche supposti personaggi-guida, sultani, vizir, odalische.

Inoltre, le fotografie sono anche uno strumento per documentare il progresso della ricerca archeologica e magari le scoperte e i restauri, come a Baalbek, alle piramidi di Giza e alla Sfinge, ad Abu Simbel, al Santo Sepolcro. E sempre le fotografie raccontano un’altra storia, quella del collezionismo delle varie nazioni, dalla Francia all’Inghilterra, dalla Germania all’Italia che si impadroniscono dei pezzi più preziosi, portando in Occidente sculture, faraoni e obelischi, colossi dei templi ma anche centinaia di sarcofagi dipinti con dentro le mummie e il loro arredo funebre.

Il sistema narrativo sul quale si sviluppa la rappresentazione visiva dell’Oriente può essere dunque interpretato nel segno del Roland Barthes de I miti d’oggi, portando l’indagine su come si formano le strutture narrative di questo Oriente inventato dall’Occidente, quali sono i suoi simboli, i suoi luoghi canonici, il suo pubblico.

L’Occidente ha viaggiato in Oriente non per scoprire i luoghi di culture contrapposte, ma per ritrovare un’unità possibile di racconto omologando l’Oriente all’Occidente. In questo senso ha “colonizzato visivamente” la memoria dell’Oriente, anzi dei diversi orienti, ha imposto un modello di lettura, ha stabilito gerarchie tra i luoghi, ha fissato punti di vista, raggruppamenti, distanze, delle città come di intere nazioni, costruendone l’immagine a propria somiglianza.

 

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