Cosa c’entrano le vele nautiche con i muri urbani? Entrambe le espressioni sorprendono nell’eclettica tecnica compositiva del prof. Walter Pescara, insegnante di “Fotografia di reportage e fotografia delle Arti performative all’Accademia Laba di Brescia”, che, nel capoluogo bresciano, espone parte della propria sintesi espressiva nella galleria “Aref”, mediante la proposta effettiva di varie sue opere, rispettivamente ispirate all’una ed all’altra, modalità di arte visiva.
Ambedue i modi d’applicazione, concorrono, anche attraverso l’impiego del loro rispettivo materiale fondante, a costituire un potenziale messaggio che procede oltre il porsi a manufatto in sé, recante una nitida immagina sostanziale, per via del risultare compromesso con la sua natura sostanziale, veicolandone il nesso che risulta percepibile anche a metafora corale di una significativa riflessione esistenziale.
Trattasi, sia di una caratterizzazione stanziale, come quella dell’epidermide di strutture cementizie, risalenti a stratificazioni edilizie assommatesi in decenni, come pure ad una connotazione, in modo diverso ed anche proverbialmente, legata alla mobilità, come quella, nel vero senso della parola, navigata, delle vele di imbarcazioni, che assurgono a vessillo del vivere, esposto alla luce della vita ed aperto ai quattro venti delle molteplici variabili con le quali si instilla la regia di una estemporaneità, tanto soggettiva quanto collettiva.
L’apporto della fotografia avviene, in questo caso, a proporzione di quella personale libertà creativa nella quale, in pratica, si sono andati a scegliere o lacerti murali o vetuste vele, ormai sostitute nel loro utilizzo, per farne la base di una rivisitata complessità espressiva, rispetto a quanto già di loro appare esplicito e, comunque, insito in quel dato modo che è parso allo stesso autore, come adeguato motivo di un racconto ulteriore.
Due sono i filoni espressivi, presenti, nell’esposizione circoscritta in prossimità del noto monumento alla “Bell’Italia” di Brescia, dove si affaccia l’ingresso della “Galleria Aref”, quale luogo scelto dal prof. Walter Pescara, per presentare, lungo il periodo a cavallo fra il 2022 ed 2023, la mostra che di tale appaiamento ne racchiude, evocativamente, l’accostamento fra “Vele e fari” e “Muri”, per cui il titolo che li contempera è di “Vele e Muri”.
L’iniziativa espositiva, in piazza Loggia 11/f di Brescia, è visitabile fino al 15 gennaio, dal giovedì alla domenica, osservando orari di apertura dalle ore 16 alle ore 19,30.
Superfici di muri anonimi e contemporanei, prelevati dal loro stato di abbandono, come metodo mutuato da un analogo intervento di strappo di un affresco, perché siano poi a base di fotografie applicateci sopra, insieme alla rielaborazione espressiva di un insieme di effetti che le compenetrano, come anche parti di vele che, altrettanto, ospitano, immagini fotografiche del medesimo autore, rese, parimenti uniche nella soluzione di una caratteristica materia utilizzata e nella focalizzata fugacità di quell’attimo che è stato fissato entro la ricognizione visiva di quanto l’obiettivo fotografico vi ha catturato.
Emblematico di tutto ciò, il poter vedere, ad esempio, ritratta la famosa “nave scuola”, dedicata ad “Amerigo Vespucci”, come il prof. Walter Pescara l’aveva fotografata nel 1992, a margine delle manifestazioni celebrative del mezzo millennio allora decorso dall’impresa colombiana, nella risultanza di come ora appaia in immagini impresse anche su ruvidi pezzi di vele, quale fenomenologia di un’interazione con la realtà che compie il periplo sull’orizzonte marino fra l’impegno documentaristico di un trentennio fa e quello poi subentrato, in altra versione espressiva, in linea con la dinamica che una pubblicazione della galleria cittadina ospitante va, in questa occasione, a documentare, specificando, fra l’altro, che è la “edizione speciale di fotografie dell’Amerigo Vespucci stampate sui ritagli originali delle sue vele”, donate al talentuoso ed appassionato fotografo bresciano dall’allora comandante dell’accennato veliero, il capitano di vascello Massimiliano Siragusa.
Ieratiche, solenni e, per così dire, monumentali, da poter percorrere le stesse vie che appaiono fuori dalla stringente congiuntura del tempo, nell’assurgere a simbolo di una matericità, di fatto, strumentale ed asservita alla immagine che si attesta ad un precipuo riferimento, queste vedute marine, si integrano, con tutt’altri soggetti, ad ulteriori e laboriose intuizioni fotografiche dell’autore.
Sono rappresentazioni proposte dalle sue accurate vedute, editorialmente fissate nel 1985, nell’opera, ovviamente illustrata, de “Il libro dei fari italiani”, stampato dalla “Mursia” dal prof. Walter Pescara, con i testi di Camillo Manfredini, nel sottoscrivere, fotograficamente, un certosino lavoro di tracciamento visivo di questo genere di costruzioni che, ciascuna, è secondo un proprio modo ed una rispettiva profondità di irraggiamento, rispettivamente poste a servizio dei naviganti, lungo le coste italiane, sia insulari che peninsulari, tanto tra le rotte settentrionali quanto di quelle, più diffuse, nel maggioritario frastagliarsi dei lidi meridionali mediterranei, come tutte quante risultano sotto l’egida della “Marina Militare” con la quale l’autore ha instaurato rapporti di collaborazione significativi anche di questi interessanti lavori di ricognizione fotografica, non scevri da accenti paesaggistici e politematicamente interattivi.
Pure nella versatilità fotografica coltivata in questa varietà d’ispirazione, i risultati di un dato tempo di produzione d’immagine, hanno, nel frattempo, conosciuto una ritrovata ripresa di rappresentazione, ponendosi in stampa su autentici pezzi di vele, similmente alle porzioni di muri “vecchi” e rovinati, ispiratrici, queste, fra l’altro, nell’autore in mostra all’Aref, di una sorta di derivazione di archeologia urbana, nella da lui praticata congiunzione immaginifica che il “vecchio materiale cementizio assorbe frammenti di vite passate e li incorpora in istanti fotografici”, dalla quale trarre motivi per stamparvi fotografie, dalle soggettivazioni più disparate, con l’aggiunta iconica di personali manifestazioni espressive, tanto da compiutamente ricondursi alla tecnica compositiva a “getto d’inchiostro su materiale cementizio trasportato”.