L’amarone della Valpolicella, la cipolla di Tropea, il pomodoro pugliese e, infine, il kiwi del basso Lazio: sono alcune delle eccellenze agricole che lustrano il pedigree del cibo “made in Italy”, ma che molto spesso nascondono un mondo fatto di sudore, fatica e molto spesso sfruttamento che non riguarda soltanto gli immigrati, ma sempre più spesso anche gli italiani.
Ai lavoratori impiegati nei settori della coltivazione e del confezionamento dei cibi che finiscono sulle tavole degli italiani è dedicato un nuovo podcast, dal titolo “Sulle spalle degli altri” prodotto dalla Flai Cgil e si può ascoltare su tutte le piattaforme di podcast.
“Sono lontani anni luce i tempi grami del dopoguerra, quando la fame era tornata protagonista – si legge in una nota della Flai Cgil -: oggi mangiare è diventato anche uno status symbol e proliferano “chef”, marchi, il marketing conia sempre nuovi slogan. Anzi, se un problema si pone è quello della sovraproduzione, dello spreco, ma questa è un’altra storia.
Quei prodotti che luccicano nelle vetrine di alimentari che sembrano gioiellerie o su banchi nobili di catene multinazionali hanno una storia: qualcuno li ha seminati, coltivati, curati, protetti, raccolti e alla fine confezionati per la vendita al dettaglio. Insomma, fanno parte di una filiera, cioè di un’organizzazione complessa e articolata che impiega circa un milione e mezzo di lavoratori, se contiamo anche i cosiddetti invisibili”.
A raccontare questo mondo nascosto è la voce di Annabella Calabrese sui testi realizzati da Susanna Bucci e Paolo Butturini e prodotto da Akùo in collaborazione con Flai-Cgil.
“Sulle spalle degli altri è un viaggio, attraverso il racconto e le voci dei protagonisti, nei territori in cui si coltivano e si confezionano quei cibi aristocratici – continua la nota -. Scoprirete così che esistono ancora forme di caporalato anche nel ricco Nord-Est, che nella Capitanata le donne lavoratrici sono quasi tutte italiane, che i 92 sikh si sono stancati di prendere botte ed essere sfruttati, che in Calabria è pericoloso anche soltanto parlare con i lavoratori. E tanto altro.
Ma vedrete anche che ogni giorno ci sono donne e uomini della Flai-Cgil che provano a contrastare questo sfruttamento, a far crescere la coscienza anche dei lavoratori immigrati. La loro fatica è più lieve di quella di chi sta chino sui campi, ma è preziosa per ridare a queste persone prima di tutto la dignità”.