lunedì 25 Novembre 2024

Da Auschwitz non si torna mai

Il 27 gennaio è la Giornata della Memoria, noi tutti abbiamo un dovere verso la “memoria”, affinché quello che accadde nel secolo scorso non vada a ripetersi mai più.

Non mi è possibile frenare l’emozione nel ricordare il fortuito incontro che ebbi con Shlomo Venezia a Roma in un giorno di qualche anno fa. Shlomo, uno dei pochissimi sopravvissuti da quell’unità terribile che nel campo di stermino di Auschwitz-Birkenau i nazisti chiamavano “Sonderkommando”, ha lasciato questo mondo nell’autunno del 2012 portando con se un enorme bagaglio di dolore.

E’ ben difficile a Roma rimanere fuori dall’onda della folla dei turisti in rotta sui classici itinerari e, in fondo, è anche piacevole mescolarsi con il vociare di idiomi lontani percorrendo le antiche vie di Roma. Non ricordo il motivo e nemmeno il nome della via, una delle tante colme di gente tra la fontana di Trevi e il Pantheon, forse stavo semplicemente passeggiando nel tepore del tardo pomeriggio romano quando mi ritrovai dinnanzi alla vetrina d’un negozio. Ne avevo già viste chissà quante di vetrine, ma per caso alzai lo sguardo e vidi all’interno in un angolo del banco un uomo col capo chino, intento a scrivere: quel viso mi era noto, ma chi era?

Nel negozio una signora dai modi gentili stava mostrando delle magliette a due turiste giapponesi, il mio sguardo torno nuovamente sull’uomo, ne ero sicuro: conoscevo quel viso. In casi improvvisi come questo, sembra di sentirlo il ronzio della mente che cerca disperatamente nei cassetti della memoria un indizio o un qualcosa che ricolleghi quel viso a un ricordo o a una circostanza.

Tutto piombò in me all’improvviso in quell’attimo che sentii un brivido gelido attraversarmi la schiena e la mia mano che istintivamente apriva la porta.

Senza riflettere mi ritrovai dentro il negozio mentre le due turiste giapponesi stavano uscendo. Le armonie della primavera s’erano paralizzate all’improvviso, il tepore del meriggio primaverile avevano lasciato, dentro di me, il posto al freddo umido d’un giorno di nebbia, come nei giorni quando gennaio volge al termine. Conoscevo il viso dolce di quell’uomo con grandi occhiali e i capelli bianchi ben ordinati, intento a scrivere, era Shlomo Venezia, uno dei pochissimi sopravvissuti da quell’unità terribile che nel campo di stermino di Auschwitz-Birkenau i nazisti chiamavano “Sonderkommando”.

M’ero ritrovato lì al centro del negozio, ritto come un palo, fu la signora a sciogliere il mio imbarazzo, mentre osservavo Shlomo che incurante continuava a annotare con penna e taccuino:

Ha visto qualcosa di suo gradimento?–  chiese con modo aggraziato la signora, esitai un attimo chiuso nel mio imbarazzo, poi dissi soltanto – avrei solo il desiderio di stringere la mano –  Shlomo smise di scrivere, alzo lo sguardo, incalzo gli occhiali sul naso e senza chiedere nulla si avvicinò e mi strinse forte la mano. La signora s’era avvicinata al fianco del marito e mi osservava commossa. Non dissi nulla, capivo che non avevo nulla da chiedere, anche quando mi diedero una sedia per farmi accomodare e loro rimasero in piedi dinnanzi al banco, Shlomo iniziò a raccontare. Era come fossimo rimasti i soli abitanti di Roma.

– E’ difficile, difficile raccontare anche se importante, vitale per le generazioni future, ma mi chiede dolore, riporta in vita una sofferenza lancinante che non mi lascia mai. Tutto mi riporta al campo, qualunque cosa faccia, qualunque cosa veda, il mio spirito torna sempre allo stesso posto…

Non si esce mai, per davvero dal Crematorio, da Auschwitz non si ritorna mai!

Sono sopravvissuto nella carne, ma non nello spirito, appena provo un poco di serenità, di gioia, sento un disagio, qualcosa si blocca e cado nella disperazione, la chiamano la “malattia dei sopravvissuti”. Gli anni passano le cose cambiano, molti chiedono di dimenticare, ma sa cosa significa quando vedo oggi certe scritte sui muri… E’ avvenuto, scriveva Primo Levi, quindi può accadere di nuovo; sento il bisogno di testimoniare, ma è difficile.-

Toglie un fazzoletto dalla tasca, con delicatezza si alza gli occhiali e asciuga gli occhi umidi di lacrime. Rimango impietrito, incapace di reagire, quegli occhi che non hanno mai smesso di piangere hanno visto il male del male, hanno visto Auschwitz.

Shlomo Venezia era nato a Salonico, in Grecia, nel dicembre del 1923. La sua famiglia, ebrea da generazioni, fu costretta a lasciare la Spagna nel XV secolo, prima di stabilirsi in Grecia vissero per un tempo in Italia, allora gli ebrei spagnoli non usavano cognome, semplicemente si chiamavano Isacco figlio di Salomone. Arrivati in Italia presero il cognome della città in cui vivevano,  per questo aveva preso il cognome di Venezia.

Arrestato con la famiglia a Atene nel marzo del 1944, Shlomo fu deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, selezionato per il lavoro, fu assegnato alla “Sonderkommando”, una squadra di deportati con l’incarico di far funzionare la spietata macchina di sterminio nazista. Gli uomini della “Sonderkommando” accompagnavano i prigionieri nella camera a gas, gli aiutavano a svestirsi, recuperavano i corpi, gli tagliavano i capelli, toglievano i denti d’oro e soprattutto trasportavano i corpi ai forni crematori e ne recuperavano la cenere. Un metodico lavoro in un orrore che non conosce confini. Ricorda persino il pianto d’un bimbo miracolosamente salvo fra i corpi asfissiati dal gas, la corsa frenetica, il cercare il pianto fra la morte e poi lo sparo di una SS che tronca per sempre il lamento “vivo” del bimbo.

Com’è potuto accadere tutto questo? Ho pensato mille volte, ma non sono uscite le parole, sono rimasto per un tempo indefinito, attonito, muto.

Quando mi sono alzato non ho avuto il coraggio nemmeno di ringraziare, ero totalmente pervaso da un senso di profondo orrore, ho stretto di nuovo la mano a Shlomo. Il giorno successivo tornai al negozio con un mazzo di fiori bianchi per la moglie e qualche parola, Shlomo mi regalò un libro che raccoglieva alcune testimonianze, anche una piccola sua aggiungendo che forse un giorno, forse… avrebbe messo tutto in un libro.

Tempo dopo in libreria ho trovato con stupore il libro di Shlomo Venezia:

“ SONDERKOMMANDO AUSCHWITZ” La verità sulle camere a gas. (edizioni Rizzoli, prefazione di Walter Veltroni)

Quando sto bene, sento il bisogno di testimoniare, ma è difficile…mi da conforto sapere che non parlo nel vuoto…Dal libro ho tolto alcune frasi scritte sopra, erano uguali alle mie annotazioni di quel giorno che non dimenticherò mai.

Note sull'autore

Valerio Gardoni
Valerio Gardoni
Giornalista, fotoreporter, inviato, nato a Orzinuovi, Brescia, oggi vive in un cascinale in riva al fiume Oglio. Guida fluviale, istruttore e formatore di canoa, alpinista, viaggia a piedi, in bicicletta, in canoa o kayak. Ha partecipato a molte spedizioni internazionali discendendo fiumi nei cinque continenti. La fotografia è il “suo” mezzo per cogliere la misteriosa essenza della vita. Collabora con Operazione Mato Grosso, Mountain Wilderness, Emergency, AAZ Zanskar.

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