Rovigo. In occasione della Giornata della Memoria, sabato 27 gennaio, il Museo Grandi Fiumi organizza l’evento “Pietre per la Memoria“. L’iniziativa si terrà nella sala Flumina a partire dalle ore 10 con ingresso gratuito.
Un viaggio a ritroso nella storia, per incontrare la figura di Luigia Modena Colorni, vittima dell’Olocausto cui è dedicata la prima pietra d’inciampo di Rovigo, ascoltare i ricordi di internate sopravvissute al campo di concentramento di Vo’ Euganeo dalle voci di studentesse del territorio, conoscere alcuni aspetti della toponomastica, dell’urbanistica e della memoria materiale della città con la guida di Luigi Contegiacomo, presidente dell’Istituto Polesano per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea.
Obiettivo dell’incontro è conoscere il dramma che si è consumato a pochi passi da noi, nel campo di concentramento di Vò. Per leggere le tracce del passato attraverso la toponomastica e le memorie urbane. Per non dimenticare…
Luigia Modena era nata a Venezia da padre ebreo, sposò Colorni Gastone nel 1906, e si trasferì a Rovigo nel 1907, dove nacque l’unico loro figlio: Colorni Ausonio. La famiglia Colorni era benestante e possedeva a Padova una fabbrica di colori e piastre metalliche.
Nel luglio 1944, dopo aver nascosto il figlio in un convento, venne ingoiata dalla furia nazista, deportata ad Auschwitz. Non si conosce la causa della morte: forse sul famigerato treno bestiame in rotta per i campi di sterminio. Si racconta che sarebbe stata arrestata non tanto per la sua in parte discendenza ebraica, ma per non aver dato informazioni sul figlio.
Il campo di concentramento di Vo’ Vecchio (Padova) fu uno dei 31 campi di concentramento della Repubblica Sociale Italiana a livello provinciale per adunarvi gli ebrei in attesa di deportazione. Fu operante dal 3 dicembre 1943 al 17 luglio 1944. La seicentesca Villa Contarini-Venier a Vo’ Vecchio, che serviva come casa estiva delle suore elisabettine, fu individuata nel dicembre 1943 come luogo di concentramento degli ebrei delle province di Padova e Rovigo. I quattro piani della villa garantivano ampi spazi per l’alloggiamento degli internati, con punte che raggiunsero anche le 60-70 unità. La direzione del campo era affidata a personale di polizia italiano; le suore si occupavano della gestione della cucina. (fonte Wikipedia)