Ferrara. Sono le splendide sale del Castello Estense a presentare al pubblico la mostra: “Carlo Guarienti. La realtà del sogno” dal 29 ottobre al 22 gennaio prossimo. Oltre cento opere, tra dipinti e sculture, attraverso le quali viene indagato l’ampio e articolato percorso dell’artista, segnato da un constante, quanto coerente, processo di metamorfosi.
Un’opera non deve essere spiegata.
Va osservata, ammirata, vissuta.
Coloro che cercano di parlare delle loro opere,
che pretendono di spiegarle,
non sono artisti, ma raccontano storie (Carlo Guarienti)
L’occasione della mostra è la felice ricorrenza del suo 99° compleanno, la Fondazione Ferrara Arte e il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara che dedicano a Carlo Guarienti, originale protagonista del panorama artistico nazionale ed europeo da oltre mezzo secolo.
Nata da un’idea di Vittorio Sgarbi, la retrospettiva La realtà del sogno, allestita nelle splendide sale del Castello Estense a presentare al pubblico oltre cento opere, tra dipinti e sculture, attraverso le quali viene indagato l’ampio e articolato percorso dell’artista, segnato da un constante, quanto coerente, processo di metamorfosi.
Nato a Treviso nel 1923, Carlo Guarienti studia medicina all’Università di Padova, dove si laurea nel 1949. Nel frattempo, tra il 1944 e il 1945, chiamato alle armi, lavora come preparatore di anatomia artistica all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Rientrato nella sua città natale nel 1946, realizza nature morte, ritratti e l’opera più significativa della sua prima attività, il San Girolamo, esposto l’anno successivo alla mostra dei Pittori moderni della realtà organizzata alla Galleria de L’Illustrazione Italiana di Milano da Gregorio Sciltian, Pietro Annigoni e Antonio e Xavier Bueno, firmatari del manifesto del gruppo che si pone in aperto conflitto con l’arte astratta e informale.
Dopo questo esordio, nel solco di un realismo inquieto ancorato alla tradizione del Quattrocento padano, Guarienti intraprende un percorso autonomo, che vira inizialmente in direzione di un linguaggio fantastico e visionario, testimoniato da un’opera come Nascita di una natura morta (1956). Negli anni Sessanta sperimenta una tecnica mutuata dallo strappo degli affreschi e basata sull’uso di intonaci scrostati, cretti, collage e di una resina sintetica mescolata a colore e sabbia. Successivamente, dopo aver elaborato un bestiario surrealista ispirato a Max Ernst e Aloys Zötl, diventa pittore di geometrie mentali, di forme pure, bidimensionali o solide, organizzate in rigorosi spazi prospettici.
La figura viene soppiantata da linee, numeri, segnali stradali, forse per un richiamo alla Pop Art e quindi alla contemporaneità. Dagli anni Ottanta dipinge numerose nature morte, allestite in atmosfere sospese, fra realtà e irrealtà, fra consistenza e trasparenza, una modalità espressiva adottata anche nei generi dell’autoritratto e della veduta, affrontati nei lavori degli anni successivi. Irriducibile sperimentatore, Guarienti esprime la sua complessa poetica anche nella produzione plastica, dove persegue una potente sintesi formale, tra modelli arcaici (etruschi e greco-romani) e suggestioni novecentesche (da Giacometti a Marino Marini), e nell’arte incisoria.
Tentato da innumerevoli stimoli, Guarienti punta nella sua opera in direzione di un realismo basato sul pensiero, su concetti astratti che si traducono in immagini, più o meno enigmatiche, sospese tra sogno e realtà. Come ha sottolineato Vittorio Sgarbi, nelle sue opere «troviamo quello che la pittura metafisica aveva voluto rappresentare, fin dai propri inizi, con la ricerca di de Chirico: una dimensione essenziale, totalmente purificata, di puro pensiero, che viene a distillare e quindi a distanziare l’emotività. Pittura puramente mentale.»