Un affaccio diretto con diritto di veduta. “Re ipsa loquitur”. L’evidenza parla da sé. Una rilevante combinazione ambientale esplica l’intero dispiegarsi del fianco settentrionale del Montorfano in un profilo asservito a questo terrazzo prativo, valorizzato, pure, da un robusto cancello monumentale.
Rivolto a tale altura, la sagoma sporgente dei due chiusi battenti dell’antico manufatto filtra, fra le sue stesse alte inferriate, l’ingombro montuoso strutturato nel panorama che si staglia in lontananza, secondo uno stretto vincolo peculiare al territorio a cui corrisponde una tipica connotazione geologica locale.
Tale varco metallico sembra chiudere il Montorfano entro quella serratura ornamentale che è delimitante il perimetro di una verde spianata rettangolare, frapposta all’orizzonte tra il noto rilievo boschivo ed una architettura impattante, altrettanto evidente nell’immediato retroterra a cui questo prato spetta di associarle un comodo sbocco di libera ed incontrastata prospettiva.
A proposito del grande “palazzo Martinengo ora Lechi” di Erbusco al quale anche questa solitaria cancellata fa riferimento, si legge, fra l’altro, sul posto, in un pannello esplicativo afferente tale ambito storico che è compreso in un esteso modularsi d’architetture e di piani volumetrici distribuiti lungo un progressivo avvicendarsi di quota, in quanto degradante caratteristicamente nei diversi livelli di questo antico centro abitato della Franciacorta, che “(…) Le dimore del XV, XVI e XVII secolo, testimonianze delle radici di questa terra, sono inserite in un paesaggio che le trasformazioni urbanistiche dei borghi non sono riuscite ad inglobare. Il materiale utilizzato nell’edificazione di queste strutture rispetta la storia geologica del territorio franciacortino: le superfici, le tessiture, le tonalità delle mura, sono determinate dalla grana, dal cromatismo, dalla tecnica di incastro ed assemblaggio delle arenarie grige di Sarnico, delle calcari, del medolo, dei ciotoli morenici e dei mattoni delle antiche fornaci di Franciacorta (…)”.
Da questo suo lato, in cui risulta all’opposto dell’agglomerato urbano, ponendosi, in questo suo largo tratto signorile, alle spalle del paese, la “villa Lechi già Martinengo” seguita ancora oggi a percorrere, a distanza, l’ampiezza di un incontaminato affaccio aderente al Montorfano, come un tempo poteva essere parimenti osservato dagli artefici dell’insediarsi indisturbato di tale costruzione aristocratica, puntualmente accompagnata da un esplicito orientamento nella propria dislocazione privilegiata, attraverso il riscontro effettivo di un naturale ed imperituro godimento di una ricca ed amena rappresentazione d’insieme dove tuttora resta fermamente incardinata.
Nel merito di questa porzione, rilevabile dalla pubblica via anche a motivo del fatto che vi transita in mezzo una strada, l’Enciclopedia Bresciana spiega, fra l’altro, che “(…) Tutto questo complesso della grande cancellata e del piazzale venne creato dal conte Bartolomeo Fenaroli tra il 1820 e il 1830, poiché prima non esisteva che il grande arco d’ingresso e un alto muro (nel quale forse saranno stati aperti dei finestroni con inferriate) che chiudeva la vista del palazzo verso la strada sottostante, più stretta dell’attuale, indi vi erano alcune case al posto del piazzale in mezzo alle quali passava la stradetta che portava al cancello settecentesco della prospettiva (…)”.
Sparite, a quanto pare, le case accennate, sta a questo cancello reggere il particolare di una certa discontinuità lungo tutta una demarcazione, voluta rispetto alla penetrazione degli eleganti contorni della villa verso il Montorfano, come pure, naturalmente, verso il piano di battuta del traffico veicolare intercorrente nella linea di comunicazione principale sottostante che collega, in questo lembo di Franciacorta, i centri maggiori e minori del territorio contiguo, fra Palazzolo e Rovato, e le loro correlate frazioni.
Anche percorrendo tale tratto di strada, si nota il connubio, prospetticamente instauratosi, fra questa villa e l’area che tale dimora aristocratica ha distesa innanzi, inerpicandosi, un poco, con lo sguardo, a superare i vitigni che, nel declivio dell’ambiente stesso, smarcano il traffico di maggiore percorrenza con i piani più defilati di una esclusiva dislocazione di pertinenza.
Come fosse occupata dall’eco di un tempo remoto, seguita l’artifizio scenico di questa larga spaziatura erbosa che, da una parte, ha il cancello, con un basso muretto, affacciato verso la accattivante divaricazione di una visione attraente di abbellimento, funzionale alla villa per la quale se ne era congeniato l’accostamento, dall’altra, ha varie colonnine marmoree, incatenate fra loro da una robusta catena, che appare, in tanta vastità, una linea sottile di ricercata decorazione di contenimento, mediante i taciti anelli di una armonia cascante ed altalenante grazie al rettilineo di una articolata complessità, a metafora di un passaggio di consegne che, da un obliato passato, giunge fino ad oggi a veicolarne l’elegante legame a tracciato di una compartecipe impronta di continuità.