Calvisano, Brescia – Il nome rimanda ad una data ascendenza nobiliare, alla quale, la sua stessa storia pare abbia legato una esplicita dedicazione particolare, approdando fino all’epoca attuale, nel conservare, ad una tipica natura immobiliare, l’imponente vocazione gentilizia che insiste in una prestigiosa struttura.
A Palazzo Lechi, già Polini, di Calvisano, sembra abbia anche soggiornato il re Umberto I, per l’imminenza di quanto atteso nell’attigua brughiera dove erano convenuti vari reparti dell’allora regio esercito, impegnati in un’apposita e memorabile rivista militare, rimasta avvolta nelle pieghe minime di un passato che, alla difesa, pare abbia mantenuto ad una zona, per nulla lontana, il noto luogo secretato della aerobase di Ghedi.
Cosa avesse animato questi luoghi, con tanto di partecipazione del re Umberto I, insieme alla regina Margherita ed al principe Vittorio Emanuele, ancora fanciullo, era accennato nella cronaca del quotidiano “Il Cittadino” del 12 settembre 1878, nel, fra l’altro, riportare, che “(…) Alle ore 7 e mezza, i reggimenti schierati in ordine di battaglia in colonne serrate, sono così disposti; il primo Corpo d’Armata: sono disposte in colonna la prima divisione composta dalla 12a e dalla 22a brigata di fanteria; dietro la 12a brigata di cavalleria è collocata una divisione di cavalleria e dietro la 22a brigata del 6° artiglieria, la 2a divisione, pure in colonna, è pure composta della 2a e della 37a brigata di fanteria, cui stanno retro una brigata dell’8° artiglieria ed una divisione di cavalleria. Segue, in colonna il carreggio divisionale, indi, quale corpo di riserva, seguono il 7° bersaglieri, una brigata del Genio, una brigata d’artiglieria, i due reggimenti di cavalleria Saluzzo e Lancieri Firenze, e chiude la colonna del primo Corpo tutto il carreggio d’armata ad esso addetto. Il secondo Corpo d’Armata è collocato alla destra del primo e fanno parte della 1a divisione, la 5a e la 16a brigata di fanteria, cui è retroposta una brigata del 5° artiglieria ed una divisione di cavalleria col rispettivo carreggio divisionale; fanno parte della 2a divisione, la 19a e la 23a brigata fanteria, una divisione di cavalleria ed una brigata del 4° artiglieria col rispettivo carreggio. Serrano la colonna, come a riserva, il 3° reggimento bersaglieri, il 2° battaglione d’istruzione, una brigata del Genio, i reggimenti di cavalleria Caserta e Vittorio Emanuele ed una brigata del 9° artiglieria e chiude il corpo il carreggio del 2° Corpo d’armata (…)”.
Intanto, il palazzo, in un’altra funzione, rispetto ad una estranea velleità difensiva, sta seguitando, come sempre, una strada diversa, rispetto all’eco di tutt’altro insediamento localizzato a pochi chilometri e consacrato, invece, militarmente alle qualificate pertinenze armate di una differente esclusiva.
Solitario ed altero, vive delle sue volitive prospettive, confacenti alle prossimità del locale centro abitato, in un insieme attrattivo di appariscenti e di poetiche prerogative.
Tali aspetti di fatto scenografici sono, a tutta vista, propri del tipico assetto, pressoché originario, con cui l’antichità del manufatto stesso si compone, a breve distanza dalle porte viarie di questa località della pianura bresciana che, a loro volta, agli uniformi mattoni del suo Settecento, strutturano, d’impatto, antiche reminiscenze, certamente, più remote.
Da un capo all’altro di una circoscritta porzione urbana, queste profonde arcate, entro le vetuste strutture d’un tempo, rappresentano liberi accessi al centro storico, nella suggestiva forma di ciò che resta di torri, caratteristicamente sopravviventi, l’una in un modo, l’altra in un altro, quest’ultima peggio conservata, per quell’uso ancora vivo che se ne fa, comunque, applicato nella disponibilità di passaggi vigenti, a senso unico, nel circuito stradale del paese dove tali antichità si erigono a tacite testimonianze di contemporanei adattamenti ai solidi reperti ancora funzionalmente presenti.
Palazzo Lechi è vicino a questo singolare rimpallo fra una torre e l’altra medioevale, esorbitando, con ogni probabilità, per via della sua sede, fuori da quello che era il nucleo storico asservito a tali ingressi principali dell’abitato, nel volgere la propria elegante struttura all’evidenza di una apertura, generosamente affacciata, lungo i suoi due lati più interessanti, agli appezzamenti di una campagna residua.
Anche nella sua architettura si possono distinguere due torrioni, inglobati di buona misura al corpo dell’immobile stesso, rappresentando una quadroangolarità simmetrica che esercita l’effetto di una affascinante armonia.
Testimone di una storia più recente del luogo, rispetto ad esempio, anche al vicino convento quattrocentesco domenicano, questo palazzo è stato, comunque, attraversato da eventi, a loro modo, significativi, legati alla propria comunità di appartenenza, come non da ultimo e da non poco, l’aver sfiorato una riflessione storica, culturalmente documentata, come non è da tutti i paesi, il poterlo fare, ovvero, il trovarsi in mezzo all’attenzione degli addetti in materia, rispetto al chiedersi l’effettiva località di origine del grande Virgilio.
A tale proposito, nella “Storia di Calvisano” di Battista Guerreschi, per la “Zanetti Editore”, si può, fra l’altro, leggere, che: “(…) In un tardo pomeriggio della primavera del 1919, il cancello di palazzo Lechi in via San Michele, si aprì per accogliere una impolverata vettura. Dal porticato interno, il conte Teodoro, percorrendo a svelti passi il vialetto copoerto di ghiaia dell’ampia corte, si diresse incontro all’ospite, la cui permanenza in Calvisano non sarebbe passata inosservata. Ta