Iseo, Brescia. La Fondazione l’Arsenale, poderoso edificio che nei secoli fu casa-torre, armeria, magazzino e persino prigione, tra le acque del lago d’Iseo, ospita “Inno a Venere”, una mostra di Patrizia Benedetta Fratus a cura di Barbara Pavan che celebra una plurale e diversa declinazione della bellezza. Sino al 25 novembre.
Un progetto ispirato dalla storia di Komal e dalla sua scelta di non vivere come vittima dopo un episodio che l’ha segnata nel corpo, dando vita a un racconto nuovo. Bellezza, nascita, altra storia, quella di Komal, e del tragico episodio che l’ha sfigurata parzialmente in volto e su buona parte del corpo, ma non è di questo che vogliamo parlare.
Patrizia Benedetta Fratus ha dedicato anni a pratiche artistiche partecipate e relazionali, con particolare attenzione alle declinazioni della prevaricazione, in primis nei confronti del genere femminile. In questo terreno è germogliata la sua ricerca delle ragioni e delle dinamiche che sono alla radice della violenza, non solo verso il singolo individuo o gruppo etnico o comunità, ma anche nei confronti della natura, e che derivano da un costante processo di svilimento e desacralizzazione, di trasformazione del soggetto in oggetto; meccanismi generati, verosimilmente, da una successione di cesure e dualismi contrapposti tra gli esseri umani e l’ambiente, tra natura e cultura, tra spirito e materia, tra maschile e femminile.
Patrizia Benedetta Fratus porta avanti una ricerca artistica partecipativa, esplorando le radici profonde della violenza e i meccanismi di prevaricazione.