Bussolengo, Verona – Con 52 casi verificati di bracconaggio, quello degli ibis eremita diventa un “caso italiano”.
Dopo una prima procedura d’infrazione aperta e chiusa dalla Commissione Europea, ora se ne sono aggiunte altre due. Entrambe violazioni della Direttiva Uccelli (EUP (2023)10542; EUP (2023)10419), entrambe notifiche che segnalano all’Italia un aumento insostenibile della pressione venatoria a carico delle specie protette.
E per l’ibis eremita in particolare, che si sta tentando di reintrodurre in Europa dopo una scomparsa durata quattrocento anni, ogni esemplare cacciato pone a rischio il ritorno della popolazione migratrice.
Numeri e mortalità discussi dagli esperti durante la due giorni dedicata all’”emergenza bracconaggio”, voluta dal Waldrappteam, dal Parco Natura Viva di Bussolengo e dallo Zoo di Vienna. Capofila e partner del progetto LIFE co-finanziato dall’Ue “Northern Bald Ibis”.
“Tra le Prealpi settentrionali e l’oasi di Orbetello – spiega Johannes Fritz, direttore del progetto europeo – oggi volano circa 250 ibis eremita. Ci sono voluti 23 anni per raggiungere questo risultato, sul quale c’è comunque ancora da lavorare.
Ma se pensiamo che – da quando è iniziato il monitoraggio costante via GPS – dei 52 casi verificati, ai quali corrispondono 41 denunce presentate ai pubblici ministeri competenti, in 1 solo caso si è arrivati all’identificazione e alla denuncia dell’autore del reato, capiamo che gli atti di bracconaggio a carico di specie protette sono ancora crimini a basso rischio per chi commette l’illegalità. Che non viene quasi mai assicurato alla giustizia”.
Calendari venatori in concomitanza durante la stagione migratoria, munizioni al piombo nelle zone umide e forze dell’ordine con organismi scientifici impegnati anche su altri fronti. Questi gli argomenti più caldi che hanno impegnato gli esperti anche nel capire come l’affinamento tecnologico possa aiutare la conservazione delle specie a rischio.
“Molte delle evidenze forensi post-incidente – aggiunge Caterina Spiezio, responsabile del settore Ricerca e Conservazione del Parco Natura Viva – hanno dimostrato che il bracconiere sapeva a cosa stesse sparando. Perché in molti casi i proiettili sono partiti dal basso verso l’alto, mentre l’esemplare era in volo ad ali spiegate. E quindi molto riconoscibile, grazie all’inconfondibile morfologia dell’ibis eremita. In altri casi addirittura è avvenuto il contrario: lo sparo è avvenuto dall’alto verso il basso, probabilmente mentre l’uccello si è lasciato avvicinare in campo aperto”.
Testimonianze e analisi balistiche che serviranno ora ai ricercatori per sensibilizzare Governo, Parlamento e Regioni italiani a garantire le tutele già previste dalla legislazione sulla fauna selvatica. Rientrare delle due procedure di infrazione a carico dell’Italia e consentire ad una specie scomparsa di tornare definitivamente a volare nei cieli d’Europa.
Quella del Parco Natura Viva è un’esperienza sul campo maturata in più di venti anni di supporto al ritorno in Europa dell’ibis eremita. In un’avventura iniziata nei primi anni 2000 a sostegno delle attività di Johannes Fritz, ancor prima che il progetto (per due volte) fosse sostenuto dal finanziamento della Commissione Europea.
“Il valore della biodiversità – spiega Cesare Avesani Zaborra, CEO del Parco Natura Viva – ha subito una grande evoluzione durante questi venti anni nei quali siamo stati i primi a supportare il progetto di reintroduzione in natura dell’ibis eremita. Fino ad arrivare ai giorni nostri: ricorrono proprio in aprile i due anni dall’entrata in vigore della tutela dell’ambiente in Costituzione. E’ per questo che è necessario continuare nella nostra azione di prevenzione e di protezione delle specie più a rischio”.