Pontoglio (Brescia) – In mezzo scorre via veloce il fiume Oglio, non è da molto che ha lasciato il lago, fruscia contro la vecchia filanda ancorata sulla sponda di Pontoglio, la vedi quando superi il vecchio ponte che ha dato il nome al paese, costruito in pietra di Sarnico ha resistito per quattrocento anni alle piene del fiume, ai rancori perenni di confini contesi a suon di spade tra bresciani e bergamaschi e nei tempi nostri assiste beffardo alle scaramucce a suon di dialetti e ratti delle morose tra una sponda e l’altra. A Pontoglio siamo nella parte alta del parco dell’Oglio.
Qui i paesi sono abbracciati al corso del fiume e la sua presenza è più viva, partecipe e in un qual modo impone ancora la sua presenza quando si gonfia d’acqua. Certo è che non si fugge più quando si fa limaccioso, ma al santuario dedicato alla Madonna costruito sul greto del fiume sulla sponda opposta gli abitanti di Cividate al Piano ci vanno ancora a pregare.
A Cividate al Piano, arroccato sopra una mezza collina a terrazzo sull’ansa della sponda bergamasca, bisognerebbe arrivarci via fiume, sbarcare al santuario e salire la strada ciottolata al fianco degli orti terrazzati che coronano le case affiancate che guardano sui cortili condivisi da numerose famiglie, un’architettura che racconta di gente di terra e di fiume.
A Cividate al Piano son venuto per incontrare la signora Giovanna che in una delle case con il cortile in comune ci è nata e vissuta. Figlia un poco della terra e un poco del fiume. Fiera anche del suo idioma, quando racconta, su dieci parole ne usa una d’italiano e le altre nove in dialetto della bassa bergamasca.
E’ sotto il porticato la signora Giovanna, testa china e mani che fanno danzare i fuselli sul tombolo. Le dita si muovono veloci come pizzicassero fili di un’arpa, con leggiadra eleganza emettono un melodia di tintinnii, dove ogni movimento rapido segue una fitta trama come in uno spartito e dalla ballata dei fuselli di legno esce, dopo mesi di lavoro, un pregiato merletto degno di una melodia.
Mi saluta dopo aver fissato con uno spillo sul cilindro del tombolo un complicato passaggio di un intreccio di pura seta, prima il benvenuto è suonato dalla ballata dei fuselli di legno che seguono una complicata danza fra le dita roteate con incredibile abilità, una velocità da gioco di prestigio, ma armonioso come il suono prodotto; impossibile carpirne il segreto; si può solo ammirarne il risultato.
Quella del tombolo è un’arte dalle origini incerte, qualcuno parla di Etruschi, altri di epoche più tarde, Giacomo Cerutti detto il “Pitocchetto” le fissò sulla tela le merlettaie, a capo chino sul tombolo in un quadro che abbellì le sale del castello di Padernello per un secolo.
La signora Giovanna assomiglia un poco a quella ragazza del quadro che distoglie lo sguardo verso l’artista, mentre le sue mani continuano a memoria a intrecciare il merletto e sicuramente come al tempo del Pitocchetto i fuselli opportunamente manovrati vanno a formare una trina a volute oppure a intrecci che, per la bellezza e la complessità dei disegni e dei motivi, si può considerare la regina di tutte le trine.
Non è stata un’eredità materna, una di quelle solite storie tramandate da madre a figlia. Retaggio imposto, – Me piasit subit e se endado inac – “Mi è piaciuto subito e ho continuato” mi dice a modo suo la signora Giovanna e, come nel quadro, alza per un attimo gli occhi. Racconta mentre le sue dita intrecciano il prezioso refe di seta che segue la traccia d’un complicato merletto disegnato sul cartone che s’abbraccia al tombolo, poi abbassa lo sguardo sino al prossimo passaggio, sino al prossimo spillo che fissa un cambio d’intreccio. Giovanna l’arte del tombolo l’ha appresa a scuola, dalla maestra delle elementari che tra le tabelline e Giuseppe Garibaldi ha pensato di lasciare alle allieve un qualcosa in più che tirar di conto, un’arte tutta al femminile.
Un mese, forse due, tanto servirà per terminare l’opera, unica e irripetibile, perché ogni merletto lavorato al tombolo ha una sua trama, fatta di refe, di volute, di disegni, lavorati a punti diversi, diversa tensione del filo e di un poco di gelosia per i segreti da non svelare a nessuno, nemmeno alle poche che vengono a imparare, perché il sapere dev’essere quasi rubato dalle apprendiste. Merlettaia per passione la signora Giovanna, un amore sfrenato per l’arte del tombolo, non un lavoro e nemmeno un passatempo, troppo laborioso e difficile per calcolarne le ore come il prezzo a opera finita.
– Laurà per i sior o per el Signur – “Lavoro per i ricchi o per Dio”. Il pizzo al tombolo è da sempre usato per impreziosire gli altari, le vesti e dimore dei nobili, per molto tempo fu dedizione della clausura monacale, pizzi e merletti assunsero un’aurea sacra per la casa di Dio.
Quel bel vociare di donne tra ricami, rattoppi e merletti dove i racconti della vita erano un condividere gioie e dolori, intrecciati in un rapporto umano fatto di affetti veri, come le volute del tombolo, nella corte comune si sono spenti.
Al di là del fiume la ballata dei fuselli continua ostinatamente. Sotto il porticato la seggiola bassa della signora Giovanna è rimasta sola nella corte comune. Gli altri usci son chiusi, imprigionati dalla televisione che gracchia a tutte le ore e offende la melodia dei fuselli. Le seggiole impagliate delle altre donne sono finite in soffitta. La nuova generazione chiacchiera via internet. Il tempo del cortile comune è tramontato, chiuso dietro le nuove porte di alluminio a doppi vetri.