È made in Italy la nuova rete Slow Fiber, nata dall’incontro tra Slow Food Italia e sedici aziende virtuose del tessile, rappresenta un esempio concreto di cambiamento positivo che passa da un processo produttivo sostenibile, volto alla creazione di prodotti belli, sani, puliti, giusti e durevoli, perché rispettosi della dignità della persona e della natura nel suo delicato equilibrio.
Compriamo troppo e sprechiamo più che mai: non solo in campo alimentare con il cibo che dovrebbe nutrirci e invece non arriva nemmeno sulle nostre tavole, ma anche nel settore dell’abbigliamento e dell’arredamento, nell’ambito di quella che ormai viene definita a ragione fast fashion.
È questa la presa di coscienza che sta dietro l’incontro tra Slow Food Italia e alcune note realtà del tessile del territorio nazionale che, con coraggio e spirito critico, hanno creato Slow Fiber, un movimento la cui voce, oggi più che mai, squarcia il panorama di un sistema di produzione nocivo e inarrestabile in cui da troppo tempo siamo intrappolati, come consumatori e come imprenditori.
Figlio dell’associazione Slow Food, che da anni è impegnata a promuovere un cibo buono, pulito e giusto per tutti, Slow Fiber propone lo stesso percorso e gli stessi valori nell’ambito del vestire e dell’arredamento, e quindi di rapporto con il corpo e con il bello, inteso anche come etico, giusto e misurato.
Secondo il report della Commissione Europea dal titolo Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europe’s circular economy, la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad aumentare, così come il loro impatto sul clima, sul consumo di acqua e di energia e sull’ambiente. La produzione mondiale di questi prodotti è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e il consumo di capi di abbigliamento dovrebbe aumentare del 63 % entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea il consumo di prodotti tessili rappresenta attualmente in media il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l’uso dell’acqua e del suolo dalla prospettiva globale del ciclo di vita. Ogni anno nell’UE vengono buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ogni europeo acquista ventisei chili di vestiti all’anno e ne butta via undici dopo averli indossati appena 7-8 volte mentre solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato.
I dati parlano chiaro, bisogna ripensare la moda e il mondo del tessile in un’ottica di sostenibilità.
Slow Fiber si pone l’obiettivo di divulgare la conoscenza dell’impatto che i prodotti tessili hanno sull’ambiente, sui lavoratori della filiera e sulla salute dei consumatori per diffondere una nuova etica e cultura del vestire e dell’arredare. In quest’ottica, il proposito di Slow Fiber è anche quello di ampliare il network, coinvolgendo e invitando aziende italiane e internazionali a unirsi alla rete per ampliare la portata dell’impatto di questo cambiamento rendendolo corale, forte e immediato.
Le aziende fondatrici del network si sono autoregolamentate attraverso Il Manifesto di Slow Fiber insieme alla creazione di specifici requisiti, KPI qualitativi che quantitativi e una tassonomia propria a marchio Slow Fiber costruita sulla base degli indicatori globali di eticità, sostenibilità e responsabilità sociale (ESG, SDGs e GRI). Questa autovalutazione ha una doppia funzione: allineare tutte le aziende del network a intraprendere o a rafforzare i propri percorsi di sostenibilità e a supportare i nuovi aderenti nella realizzazione di percorsi chiari, trasparenti, misurabili. Slow Fiber in fondo è un richiamo alla bellezza che ci circonda e a quella che apportiamo al mondo quando creiamo, produciamo e condividiamo saperi e strumenti mossi da un bene comune e non dal cieco egoismo.