A Pontegatello, frazione di Azzano Mella, c’è un castello. Antico maniero, ancora, in parte, riconoscibile, ma, nel tempo, evolutosi a corte agricola, in una sintesi calzante ad uno stampo da cascinale, rispetto a tutto quanto di esplicitamente e di esclusivamente rurale gli sta attorno, in un ameno contesto identitario territoriale.
Ostaggio dell’agricoltura e dell’allevamento che contraddistinguono l’area dove si erge da secoli, nel complice residuo di vetuste cascine, sembra, di fatto, un reperto clandestino, imbarcato nelle vicende private degli emuli dell’economia primaria che laboriosamente gli si muovono intorno, marginalizzando ed estraniando tante possibili romanticherie, magari ispirate al passato e certamente motivate da una traccia culturale che, qui, nell’orbita significante che vi è imperante, porterebbe, invece, via, l’esclusività di braccia dedicate all’agricoltura.
Intanto, in beffa a cotanta distrazione, nel senso che, in deroga a diverse priorità di attenzione, quel che rimane del castello seguita ad affacciarsi al sole del tempo che, a sua volta, concorre, mediante l’inesorabile e progressivo assommarsi di giorni fra loro in avvicendamento, a comprometterne l’assetto, insidiandone, come è ovvio, l’integrità strutturale ed i particolari di maggior riferimento.
Fra gli aspetti contraddistinguenti la costruzione, prevalentemente in cotto, appaiono, oltre il verde generoso di contorno, il torrione angolare di facciata con le merlature, la completezza del perimetro con tanto di basamento di rinforzo e la torre nel lato opposto a quello d’accesso, il caratteristico ingresso principale che procede ancora a fare mostra del ponte levatoio ed, in prossimità dello stesso, l’affacciarsi verso la strada prospiciente di una pietra murata, marmorea, dal doppio stemma, come, pure, un affresco in cima a questo, raffigurante una Madonna trionfante, cifra mistica esorbitante dal nesso con una architettura profana, concretizzatasi anticamente, in una proiezione a compenetrato innesto difensivo e residenziale.
Uno dei due stemmi, denota, nei suoi rilievi, l’emblema dell’ospedale maggiore ora Civile di Brescia, amministrazione alla quale si riconduceva il luogo, effigiandone la colomba sul libro, insieme alla rappresentazione di un paio di ceppi, mentre l’altro, accanto, risulta curiosamente irriconoscibile, in quanto abraso, con ogni probabilità sottoposto ad intervento con di tanto di scalpello, al fine di togliere, al bassorilievo, ogni sua primigenia rappresentatività.
Nel merito di questa località della Bassa Bresciana dove non di rado il silenzio del cielo è rotto dagli aerei militari della non lontana base di Ghedi, si legge, fra l’altro, nell’Enciclopedia Bresciana: “(…) Le casupole che formavano il piccolo borgo si raccoglievano intorno ad un antico castello riguardo al quale Fausto Lechi nelle “Dimore Bresciane” sottolinea come “dalla mappa del primo Ottocento risulta che conservava ancora la sua struttura di piccolo fortilizio privato, con quattro torri agli angoli, tre delle quali di pianta trapezoidale assai interessante, “circondato da fosse et mura” come lo vide il Da Lezze. Lungo il secolo scorso, il nessun rispetto delle vestigia antiche ha fatto sì che quasi tutto sia andato distrutto allo scopo di adattare il vecchio nobile fabbricato. E’ rimasto l’ingresso verso la strada a mattina. Sul portale ad arco a tutto sesto, fra le feritoie delle catene del ponte levatoio, scomparso perché è scomparsa la fossa, campeggia un grande affresco sul quale si scorge la Beata Vergine col Bambino in alto, mentre la parte bassa è stata barbaramente manomessa per aprirvi una finestra. (…)”.
Nonostante l’impietosa descrizione, indicativa di un certo stato di fatto, pure a distanza di tempo da quando era stata pubblicata, il complesso architettonico che, a Pontegatello, risponde alla tutta evidente natura di un castello, seguita ad imporsi in una attrattiva caratteristica per il luogo, per quanto, senza la disponibilità di alcuna indicazione descrittiva in loco, appaia alquanto sottaciuta, ma, in ogni caso, rivelandosi insopprimibile testimonianza di un retaggio storico, anche significativo del fascinoso alone che tratteggia certe specificità perdute, pure impresse alla zona.
Ancora, secondo il tomo dell’accennata Enciclopedia Bresciana che inerisce la località in questione, è tratteggiato, entro un remoto passato, che “(…) il Ponte del Guado venne nominato Ponte Ghetem o del ghetto, sinonimo secondo P. Guerrini, in dialetto, non tanto di luogo di confino degli ebrei, ma di luogo equivoco, dove si fa del “ghet” cioè dell’allegria smodata e rumorosa. Quando (e non si sa) venne costruito il ponte con una viabilità più scorrevole e sicura, delle osterie ne rimase forse una mentre l’attività solo contadina si raccolse intorno al castello (…)”.
Ponte, struttura riporta alla presenza del vicino fiume Mella, che, per quanto riguarda le più dirette vicinanze al castello, interessando la parte oltre il cascinale che ha dinnanzi, vede l’acqua andare a lambire i perimetri rurali di questa enorme corte agricola con il fluire della seriola Quinzanella, mentre, a datata tradizione di una apprezzata mescita popolare, c’è, nei pressi, l’antica “Croce di Malta”, che contrassegna un’osteria, frequentata anche come ristorante, tipica realtà per la cucina casereccia e per un’ostinata volontà a tenere fede alla propria denominazione, quale attività appalesata, a non molta distanza dal castello, dallo sporgersi dell’emblema di una croce, a modello dei cavalieri medioevali che, qui, si voglion di Malta, sebbene il colore rosso ed il resto dello stesso possano meglio ascriversi ai Cavalieri Templari, i quali abbozzano, sorvolano sull’equivoco, e talvolta, sembra pure che si faccian vedere, nei panni di oggi, tutt’al più, avvolti in candidi mantelli, recanti l’emblema, coincidente con quello posto in strada, che li rende fratelli.