sabato 23 Novembre 2024

Brescia e il lavoro a fine Ottocento

Andate a dormire presto!”. In questo modo, era data indicazione ai lettori bresciani, rispetto ad una ripartizione del tempo a disposizione, dall’allora settimanale “Il falco” del 10 febbraio 1894.

Giornale locale, d’ispirazione liberale, che, fra maggioritari contributi di lettura, legati, per lo più, alla diatriba politica del momento, offriva anche alcune possibili riflessioni sulla dimensione del vivere, indicizzata ad una serie composita di trasversali particolari di riferimento.

Fra questi, il fare appello ad una disciplina sommaria di ammaestramento, circa le fasi di una quotidianità che, fra riposo e lavoro, è in un naturale avvicendamento: “Di sera, i moti del cuore, l’attività del respiro, il calore interno, tutti prodotti dell’azione chimica della vita, diminuiscono, e verso le ore dieci e le undici, questa diminuzione è sensibilissima. L’uomo si trova, perciò, nel peggior stato per lavorare e sviluppare forza. Colla posizione orizzontale e col sonno, la natura si piega a quelle condizioni dell’organismo, immagazzinando l’ossigeno necessario per la vita esercitata dell’indomani, essendo insufficiente ai suoi bisogni quello aspirato nelle ore del giorno. Di sera, il lavoro non può essere sostenuto che dagli stimoli artificiali del caffè, del the, della volontà e di tutte le passioni che, figlie dell’organismo, possono però piegarlo, dominarlo e rovinarlo ad un tempo. Di sera, il lavoro sciupa gli occhi, stanca il ventricolo, logora l’organismo. Se volete vivere bene, vivere a lungo, andate a letto presto. Il sole è un eccitante benefico e a buon mercato. Al mattino, basta da solo a fare crescere le battute del cuore di 10 a 12 per minuto”.

Un non meglio identificato e, testualmente detto, “Il Falchetto”, sottoscriveva tali asserzioni, divulgate in stampa, in quella fine Ottocento, entro una frazione temporale rappresentativa dello stesso periodo in cui, nell’edizione giornalistica successiva a quella accennata, giunta, rispetto all’altra, al 17 febbraio 1894, era la volta del lavoro ad emergere, in un’ulteriore ed aperta disamina, come tematica trattata: “Secondo una statistica recentemente pubblicata in Germania, le giornate di lavoro variano a seconda dei popoli. Il Paese in cui si lavora meno è la Russia: ivi gli operai hanno circa 100 giorni di festa all’anno, sicché lavorano solo per 267 giorni; gli inglesi 278; gli spagnoli 290; gli austriaci 295; gli italiani 298; i bavaresi 300; i sassoni ed i francesi 302; gli svizzeri, i danesi e gli svedesi 303; i prussiani 305; gli olandesi e gli americani del Nord 308; gli ungheresi, poi, arrivano, nel corso dell’anno, a 312 giorni di lavoro e prendono quindi il primo posto fra i lavoratori del mondo. Questa statistica prova che i giorni di riposo o sciopero non esercitano nessuna influenza sull’attività e prosperità di una nazione. Basta guardare l’Inghilterra e l’Ungheria per convincersene. Tutta la questione sta, non nel numero dei giorni detti dal calendario di lavoro, ma di sapere a che e come si lavora”.

Con il 3 marzo 1894, “Il falco” sviscerava, come in varie altre sue edizioni, il proprio orientamento anticlericale, ancora intervenendo in aderenza alla realtà del lavoro, colta tra i suoi ritmi fra attività e riposo, dando implicitamente evidenza ad alcuni aspetti, connessi a quei giorni lontani, rilevabili, se si vuole, pure a testimonianza, ad esempio, della già invalsa ricorrenza della nota festività patronale di Brescia, 15 febbraio, e di quanto, a margine della stessa, vi si poteva appurare, anche nel quadro di una riflessione personale, non scevra, comunque, dall’esplicitazione del contesto cittadino attraversato da tali particolari allora storicizzabili, come, in questo caso, tra le pagine del settimanale in questione, era apparso a firma di una cosiddetta “La Civetta”: “Santificate le feste! Il Circolo della Gioventù Cattolica Bresciana, seguace delle abitudini solitarie di San Luigi, vedendo che nel giorno dei santissimi Faustino e Giovita, patroni di Brescia, alcuni operai della Società dell’Illuminazione elettrica avevano osato di lavorare per vivere e l’avevano fatto in pubblico, con evidente dannosissimo scandalo pei precetti del Signore, il sullodato Circolo ne ha fatta una veramente circolare! Ha mandato a tutti i giornali cittadini una circolare comprendente un ordine del giorno di protesta contro tale violazione del precetto di santificare la festa, additando alla pubblica riprovazione la Società della Illuminazione elettrica che avea in tal giorno obbligato a lavorare quegli operai. Un altro giornale cittadino rispose per le rime, alla amenissima protesta dei casti giovani, smentendo, anzitutto, che quegli operai fossero stati obbligati a lavorare, mentre proprio essi, invece, avevano pregati padroni a rilasciare per mezza giornata tale permesso; aggiungendo, poi, che essendo caduta la festa in giovedì, il lavoro di quegli operai non poteva avere recato offesa a quel precetto, economico e sociale, che stabilisce giustamente un giorno di riposo alla settimana; e notando, infine, che erano molto più lodevoli coloro che avevano onestamente lavorato, invece di quelli che, per festeggiare san Faustino compreso Giovita, si erano ubriacati sconciamente, dando uno degli spettacoli più immorali per la dignità umana (…)”.

La puntualizzazione andava anche ad infilarsi in una involontaria riflessione circa l’ancora, in parte, dibattuto, come, forse, capita a volte, nesso osservato fra festività e lavoro, quando, ad esempio, ci si interroga, fra l’altro, sull’apertura o chiusura di ormai indiscusse disponibilità di tempo ad attività commerciali, dal momento che, non allontanandosi dai motivi della propria ispirazione critica di fondo, il pezzo in stampa procedeva con l’affermare che “(…) i sullodati purissimi giovincelli non hanno protestato né contro i banchetti dello zucchero filato, né contro le carriole delle biline e dei biscocc, né contro il fiato della sonnambula, né contro le roulettes d’azzardo sequestrate dalla Questura, né contro tutte quelle vergogne del secolo in forma di mistificatori ambulanti che pure hanno lavorato alla sagra che, anzi, si sono ridotte a lavorare soltanto attorno a tali sagre, facendo degna corona!. E ancora! Non hanno protestato né contro il lavoro delle botteghe e delle osterie, né contro il lavoro della santa bottega che, quel dì, ha lavorato e guadagnato più di tutte!. Si dirà: sì, ma essa ha lavorato per la gloria dei suoi due santi. Certo: la gloria per i due santi del cielo, ma le palanche erano per gli impostori della terra!”.

Note sull'autore

LucaQuaresmini
LucaQuaresmini
Ha la passione dello scrivere che gli permette, nel rispetto dello svolgersi degli avvenimenti, di esprimere se stesso attraverso uno stile personale da cui ne emerge un corrispondente scibile interiore. Le sue costruzioni lessicali seguono percorsi che aprono orizzonti d’empito originale in sintonia con la profondità e la singolarità delle vicende narrate.

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