sabato 23 Novembre 2024

Il parafulmine mancato di Roncadelle

Un fulmine becca in pieno una chiesa, cominciando dal campanile ed è tutto un discendere dirompente di molteplici danneggiamenti, allora, conteggiati in lire.

Lire austriache del “Regno Lombardo Veneto”, essendo questo fatto capitato a pochi chilometri da Brescia, dieci anni prima che le epiche “dieci giornate” insurrezionali contro l’Austria ne insanguinassero le vie che, nel capoluogo bresciano, ancora un decennio a seguire, assisteranno, invece, all’avvicendamento dell’espansione sabauda, nel subentro alla titolarità istituzionale, strappata al governo di Vienna, con la cacciata militare dell’aquila bicipite.

Circa vent’anni prima, in tutte altre faccende affacendata, la cronaca del tempo documentava altro urto, fulmineo ed estemporaneo, nel medesimo territorio poi interessato a questi sanguinosi contrasti e conflitti, tratteggiando fattualmente il riversarsi di una potente saetta ramificata sulla chiesa parrocchiale di Roncadelle, nella rappresentazione effettiva di un evento eccezionale e, per questo, ritenuto rimarchevole anche per quelle considerazioni che, a posteriori, ne commentavano la natura, entro un dato scibile rispetto a cui decidersi ad averne premura.

Un ignoto estensore del pezzo pubblicato sul “Giornale della Provincia Bresciana” di domenica 6 ottobre 1839, aveva infatti ritenuto di precisare che “(…) Oh, se un buon parafulmine fosse stato innalzato sulla nostra chiesa di Roncadelle, sono convinto che la folgore, avrebbe rispettato quell’edificio, e noi parrocchiani non patiremmo i danni gravosissimi ch’essa vi cagionò scoppiandovi sopra libera di ogni freno e senza l’artificio che la guidi e che la conduca innocua in seno alla madre terra (…)”.

Il tema era pure ripreso nella stampa, editata dalla “Tipografia della Minerva” di Vincenzo Quaresmini e di Antonio Pasinetti, propria della pubblicazione del numero del “Giornale della Provincia Bresciana” del 3 ottobre 1839, confermando la medesima conclusione già sopra ravvisata: “(…) Se dunque il fluido elettrico scagliandosi sugli edifici incontrerà innanzi tutto dè corpi conduttori, che si distendino in sino al suolo, desso seguirà questa via e verrà a tempo imprigionato ed estinto senza indizio del minimo guasto. In ciò appunto sta l’invenzione dei parafulmini, forse la più maravigliosa, ed utile delle scoperte che si fecero in fisica nel tempo passato. (…)”.

L’auspicio, per contenere la forza di questo tipo di elementi riversati dal cielo, come pensato secondo il modo manifestato nella medesima forma di un riflessivo interrogarsi, era espresso nel chiedersi “(…) perché questi apparecchi non si veggono che di tratto in tratto e non si innalzano su tutti gli edifici e non sono i tetti delle case e delle chiese convertiti in un bosco di punte metalliche? (…)”.

Era ben presente, tra le pagine del medesimo mezzo di informazione locale, il resoconto di quanto successo, dentro e fuori la chiesa, come relazionato nel “Giornale della Provincia Bresciana” di domenica 19 maggio 1839, nel dettagliare i particolari “Sul fulmine caduto a Roncadelle il 3 corrente.Dialogo fra uno studente filosofo e Bortolo suo castaldo”.

Lo scritto rispettava questa sorta di interlocuzione, fra due non meglio identificati personaggi, per cui, al lettore del giornale, era proposto un artifizio espositivo, mosso su personaggi, magari pure immaginari, ma su un fatto vero, capitato a Roncadelle il 2 maggio 1839, sviluppandone la modalità di un racconto fra domanda e risposta, cioè tra lo studente, anticipato con la lettera “S” ed il suo dipendente, individuato con la lettera “B” di Bortolo”, a riscontro, ad esempio, nelle righe che seguono, di ciò che questo dato sottoposto, ad un agiato studente di filosofia, procedeva a relazionargli, nel lessico del tempo, in una sorprendente fioritura di attenti particolari:
“(…) Era mezzogiorno del 2 ed il nostro orizzonte, appariva ingombro da nere nubi che addensava un temporale di S.E. Gli spessi lampi ed il forte rumoreggiare del tuono facevano minaccioso il cielo, sicché pareva imminente uno di quei flagelli che in meno che nol dico pongono a soqquadro le campagna e mandano in fondo le speranze e le fatiche dell’agricoltore.

Poco stante uno spaventevol scoppio accusava un torrente di fuoco che guizzava rapidissimo dalle nubi e slanciavasi sul campanile che, in quel batter d’occhio, pareva venisse divorato dalle fiamme. Il subito grido che si diffuse fra gli atterriti parrocchiani che il fulmine caduto sulla chiesa vi avesse cagionato danni inauditi, spinse me stesso a quella volta e purtroppo ebbi a certificarmi che il male era al di sotto di quanto la fama avea divulgato.

Rovesciata la croce di ferro sul tetto del campanile, il suo grosso piedistallo di marmo di Botticino è stato spaccato in tre pezzi e questi, cacciati per diverse direzioni, piombarono con rovina sui tetti delle vicine case. Uno dei quattro pilastri che dividono i finestroni del campanile istesso fu diroccato per metà e guaste furono pure due delle volte che girano sui pilastri della torre.

Non si ravvisano danni nelle campane sebbene ne appaia spostato il non picciolo castello. Scendendo il fulmine sperse e distrusse il filo di ferro che dall’orologio trasmette il moto al martello delle ore. Lasciando intatta la macchina, scassinò in minuti pezzi il casotto che la racchiude.

Dall’orologio sboccò all’esterno della torre, attraversandone la muraglia nell’angolo Nord; quivi ravvolgendosi per quattro grosse chiavi di ferro, squarciò per lungo di quattro metri l’angolo medesimo, spingendone qua e là copiosi calcinacci. Il fulmine abbandonò allora il campanile e pel muro del coro fecesi strada alla chiesa, al di sopra della contro-cornice del quadro che orna l’altare maggiore. Quella contro-cornice ricca di marmo di Carrara fu in parte rovinata. Essa era abbellita in eima da due vasi di legno e l’uno di questi fu diviso in più parti che dalla violenza della saetta vennero trasportate in mezzo alla chiesa.

L’indoratura della cornice interna scomparve o fu in più luoghi annerita, la spalliera del coro venne smossa ed una larga tavola di essa fu gettata via a qualche passo di distanza. Dal coro penetrò per le muraglie nella sagristia, e quindi nelle casse della cera dove in più guise infranse e stritolò le candele, mettendone di tratto in tratto a nudo il lucignolo per cui ti pare di aver sott’occhio dei grossi e lunghi rosari.

Il fulmine entrò pure nella chiesa per una finestra a mezzodì e fè segno alla sua forza guastatrice le diverse parti dell’organo; ognuna di esse fu più o meno danneggiata; le canne, i registri, la tastiera, i mantici, tutto fu scommosso, sconvolto o rotto. In qualche canna di metallo si è notato di più che il fuoco fulmineo ne aveva principiata la fusione.

Non fu risparmiata la cantoria il di cui suolo fu all’esterno manomesso e scheggiato; e di quell’uscio, contesto di solidi assi e noce e di abete, che vi conduce, non vedi che pochi palmi, salvi e illesi; il conquasso vi fu straordinario e curioso.

E poichè salendo da quest’uscio all’organo tu ti imbatti in un cassettone dove si ripongono i paramenti, osservai che due dei cassetti furono alquanto aperti, ma i paramenti coll’ostensorio d’argento rimasero intatti tranne due cuscini a stoffa di seta ed argento che furono bruttati e la cui parte metallica fu notevolmente corrosa.

In quest’andito, il fulmine, attraversando con rottura la muraglia della chiesa e quindi lo studio del molto reverendo sig. Arciprete, s’avviò sotto il portico della casa parrocchiale ove si disperse in vicinanza del pozzo. Anche al quadro dell’altare della scuola che, come Ella sa, è prossimo all’organo, fu staccata la cornice, la quale ebbe a perdere l’indoratura, per altra saetta, che poi passando anch’essa il muro, si estinse non molto lungi dalla precedente. Sul tetto della ridetta casa piombò altro fulmine che, nello stanzino, detto di S. Rocco, scrostò i muri, e soprattutto l’argento del tempietto del santo.

E finalmente dirò che pel camino della sala parrocchiale cadde una folgore che sfracellò il grande specchio che ne adornava il camino. Devesi aggiungere a tutto ciò che molte invetrate furono spezzate in frantumi, tanto nella Chiesa quanto nella casa parrocchiale, e l’uno e l’altra sembravano avviluppate nella nebbia tant’era il polverìo che si era sparpagliato. Insomma, se le spese occorrenti per restauro, la prova più parlante dei danni sofferti, Ella, vedrà, sig. padrone, che, per sopperire a questi bisogni, il conto preventivo non assommerà a meno di tremila lire. S. Ma, in mezzo a tanti guai, non abbiamo a lamentare alcun sinistro che tocchi alle persone?

B. Grazie sieno rese alla Provvidenza: niessuno fu colpito dal fulmine, soltanto la sorella del molto reverendo sig. parroco e quella del molto rev. Sig. curato, le quali nell’istante della fulminazione, erano in molta prossimità del campanile, patirono un non so qual intorpidimento, nelle articolazioni e forti dolori alle braccia, alle cosce ed alle gambe”.

Note sull'autore

LucaQuaresmini
LucaQuaresmini
Ha la passione dello scrivere che gli permette, nel rispetto dello svolgersi degli avvenimenti, di esprimere se stesso attraverso uno stile personale da cui ne emerge un corrispondente scibile interiore. Le sue costruzioni lessicali seguono percorsi che aprono orizzonti d’empito originale in sintonia con la profondità e la singolarità delle vicende narrate.

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