sabato 28 Settembre 2024

And they laughed at me, gli occhi delle donne iraniane

Milano. Con oltre 70 opere tra immagini d’archivio, scatti inediti e fotogrammi, la mostra  And They Laughed at Me  testimonia visivamente e racconta al visitatore il volto drammatico dell’oppressione in Iran, dal 1996 ad oggi.

La Fondazione Deloitte in collaborazione con 24 ORE Cultura presentano al Mudec Photo  And They Laughed at Me dell’artista iraniana Newsha Tavakolian (Teheran, 1981). La grande mostra fotografica, che rimarrà aperta al pubblico fino al 28 gennaio 2024 con ingresso libero, è curata da Denis Curti e rappresenta la conclusione della prima edizione del Photo Grant di Deloitte il progetto vincitore della sezione Segnalazioni.

L’obiettivo della macchina fotografica di Newsha Tavakolian si “sostituisce agli occhi seviziati” dei suoi connazionali. Le sue immagini, pregnanti di carica umana, riescono ad amplificare la voce, a lungo soffocata, di tutti coloro che hanno subito questa repressione e violenza.

A group of young women in Tehran resembling a mountain. (2020)

Il lavoro di Newsha Tavakolian viene presentato, attraverso un allestimento immersivo, negli spazi esclusivi di Mudec Photo, che dal 2018 ospitano ininterrottamente le mostre dei più grandi fotografi del Novecento e della nostra epoca contemporanea. Lo sguardo della fotografa in questo progetto espositivo rappresenta una testimonianza vivida di una società in continua evoluzione e delle lotte di coloro che la compongono.

Newsha Tavakolian, nata a Teheran nel 1981, ha lavorato per strada come fotografa in momenti di apertura del suo paese, l’Iran, ma nei periodi di grande censura ha trovato e sperimentato modi alternativi per contribuire con il suo linguaggio artistico a documentare quei cambiamenti e quegli eventi che inevitabilmente continuano a plasmarci oggi.

And They Laughed at Me intende riflettere su una strategia di repressione militare iraniana finalizzata ad accecare le persone mediante proiettili di gomma.

Questa misura dispotica, spesso utilizzata dalla polizia per impedire la diffusione di informazioni, mira a prevenire che la popolazione sia consapevole di ciò che accade nella contemporaneità.

Il percorso espositivo svela la maturità narrativa delle immagini e la profonda carica umana del lavoro dell’artista, un vero e proprio manifesto che utilizza il linguaggio visivo per contrastare il terrorismo repressivo di un organismo politico che mira a sopprimere l’autodeterminazione individuale a vantaggio di fini totalitari. Le immagini di Newsha Tavakolian riflettono la sfida di interpretare la storia collettiva in un mondo in Iran segnato dall’oppressione politica. Le sue fotografie sono cariche di interrogativi e mettono in evidenza il conflitto tra la società imposta e il desiderio di cambiamento individuale. Emerge fortemente come la paura indotta dalle decisioni politiche iraniane abbia trasformato la stessa organizzazione sociale in una minaccia per l’ordine costituito. Nel contesto di questa realtà oppressiva, le opere in mostra rappresentano una voce coraggiosa che si oppone a un destino ineluttabile, combinando elementi tipici del reportage e composizioni concettuali che rivelano il dramma dell’oppressione e finiscono per tracciare un cammino rivoluzionario verso la libertà, ispirato dall’unione di tante anime coraggiose.

Portrait of a journalist in Tehran.
During student protests in Tehran in 2017 many students were arrested and making recognizable images of people became almost impossible.
From this moment on I began hiding the faces of people i’d photograph.

 «Per questo progetto ho scelto consapevolmente una teoria di negativi dovuti a errori miei o di altri, allo sviluppatore del laboratorio o alla macchina fotografica» scrive l’artista. «Ho raccolto queste immagini indesiderate, imperfette, frammentate, perché anchesse fanno parte della storia e delle narrazioni, non si possono cancellare. Mostrano la realtà grezza e non rifinita, a cui non possiamo sottrarci. I cambiamenti che non possiamo negare e linesorabilità del tempo che passa.

Allepoca non ero formata professionalmente, il mio sguardo non aveva peso, era ingenuo, con una disponibilità che mi faceva guardare e vagare in tutte le direzioni. Ora, a distanza di anni, a causa del tempo che passa il mio sguardo è diventato pesante; come posso liberarmene? Come posso liberare il mio sguardo da questo peso?  Dalla rivisitazione di queste immagini darchivio, sullo sfondo di eventi ancora una volta terribili, emerge un chiaro rito di passaggio dalla speranza e dai sogni della giovinezza verso la delusione della realtà e la conclusione che c’è una sola vera scelta nella vita: essere attratti dalle tenebre o scegliere di combattere le tenebre e andare verso la luce».

All’interno della mostra, sarà esposta anche una selezione di elementi dal progetto Dust From Home della fotografa brasiliana Fernanda Liberti (Rio de Janeiro, 1994), che ha vinto la Open Call del concorso, dedicata alle artiste e agli artisti Under 35. La fotografa brasiliana si concentra sulla diversità delle migrazioni, prendendo spunto dalla storia della sua famiglia di origine siriana, italiana e albanese, che ha attraversato l’oceano per stabilirsi in Brasile, cercando un nuovo inizio. Fernanda ha iniziato il suo percorso utilizzando l’archivio fotografico di famiglia, con l’obiettivo di creare un legame visuale tra paesaggio, tempo, nostalgia, eredità e politica. La realizzazione di questo progetto diventerà una mostra nell’edizione 2024 del Photo Grant di Deloitte

Note sull'autore

Valerio Gardoni
Valerio Gardoni
Giornalista, fotoreporter, inviato, nato a Orzinuovi, Brescia, oggi vive in un cascinale in riva al fiume Oglio. Guida fluviale, istruttore e formatore di canoa, alpinista, viaggia a piedi, in bicicletta, in canoa o kayak. Ha partecipato a molte spedizioni internazionali discendendo fiumi nei cinque continenti. La fotografia è il “suo” mezzo per cogliere la misteriosa essenza della vita. Collabora con Operazione Mato Grosso, Mountain Wilderness, Emergency, AAZ Zanskar.

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