Ferrara. Nella Grecia antica i piccoli edifici venivano offerti alle divinità nei santuari, perché l’autore considera le sue creazioni come doni votivi e la pratica artistica come tensione verso il divino. Il cremonese Agostino Arrivabene ne ripercorre il concetto nella mostra Thesauros, sino al 1 ottobre nelle prestigiose sale del Palazzo dei Diamanti, nel cuore della città estense, curata dalla Fondazione Ferrara Arte e il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara. Quaranta opere di Agostino Arrivabene realizzate dal 1985 a oggi sono raccolte sotto al titolo Thesauros .
Nei dipinti, eseguiti con tecniche tradizionali e materiali preziosi, si colgono gli echi dei grandi maestri studiati de visu sin dalla prima formazione: Jan van Eyck, Leonardo, Michelangelo, Albrecht Dürer, Rembrandt; padri nobili, come il geniale ferrarese Ercole de’ Roberti, che lo hanno guidato, e confortato, nella ricerca di una personalissima figurazione connotata da una forte carica visionaria e riferimenti simbolici ed esoterici.
Pittore e disegnatore colto e raffinato, dotato di una fantasia inesauribile e di una straordinaria intelligenza compositiva, Arrivabene percorre da sempre, con convinzione e coraggio, la strada della retroguardia, senza cadere mai nella citazione. Nei suoi lavori, sostenuti da una tecnica impeccabile, c’è semmai continuità, oltre che armonia, rigore, intensità. Lo dimostrano anche le preziose sculture e le pietre dipinte, che evocano naturalia e artificialia (rarità scoperte in natura o sapientemente create dall’uomo) o mirabilia (cose insolite, magiche, inquietanti) custodite nelle Wunderkammer assemblate da sofisticati collezionisti. Arrivabene rinnova temi mitologici, sacri e letterari, sfrutta le potenzialità dell’allegoria, scandaglia il mistero della natura, della vita terrena e di quella oltre la morte, eccede i limiti della conoscenza sensibile per conseguire un altrove, una realtà nuova, potente, mutevole, che esiste prima di concretizzarsi.
Come scrive Vittorio Sgarbi: «Di tutti i pittori figurativi delle ultime generazioni, dalla fine degli anni Settanta a oggi, appartenenti a diversi gruppi, Enzo Cucchi, Wainer Vaccari, Lino Frongia, Stefano Di Stasio, ammirevoli per l’esercizio e la tecnica spesso maturata sullo studio degli antichi, il più eccentrico, il più originale, il più sperimentale è certamente Agostino Arrivabene. Gli piace la pittura ambiziosa, gli piace la perfezione esecutiva, ma la sua fantasia lo porta verso soggetti estremi. Lontanissimo dalla realtà, è certamente il più onirico dei nostri pittori e le sue immagini sono lacerate e tormentate. È una continua metamorfosi che moltiplica le forme della realtà.
Il disegno e la pittura sono per Arrivabene strumenti di conoscenza che richiedono concentrazione e applicazione continua, studio e confronti. I tempi non sembrano richiederlo per le tante finzioni che avevano reso irriconoscibile il volto dell’arte, ad ogni metamorfosi. Ed ecco Agostino rivederlo dietro la maschera, nei volti scoperti dei pittori amati: Werner Tübke, Lucian Freud, Odd Nerdrum, Antonio López García. Questi fari nella notte gli indicarono che la strada c’era ancora e la si poteva faticosamente percorrere. E questa è la sua partita con la pittura. Poi c’è quella con il sogno. Gran parte di ciò che Arrivabene racconta di reale ha solo l’apparenza.»