Confesso che l’ho cucinata (e mangiata) per anni. Fino al giorno in cui sono diventata vegetariana. Fino a quando non ho visualizzato quel povero animale.
L’ho cucinata e mangiata anche per una sorta di necessità di tradizione culturale. E’ la sorte cui siamo condannati noi veneziani, ultimi dei mohicani….
Ferocemente e appassionatamente attaccati alle “tradizioni” mentre la città va alla deriva. Con tutti noi. Compresi quelli, come me, che a un certo punto della loro vita l’hanno lasciata.
Una cinquantina di quintali. Ben cotti, speziati, affumicati. Ecco quanto in pochi giorni i veneziani, rimasti in laguna o quelli emigrati in terraferma, consumano in onore dalla Madonna della Salute, il 21 novembre.
In questa giornata a Venezia non si lavora e non si va a scuola. Si “recupera” la festa del santo patrono, San Marco, che coincide con la Liberazione, il 25 aprile. Quella di quest’anno sarà una festa bagnata: le previsioni, anche per l’acqua alta, non sono confortanti. Ma sarà comunque festa. Il ponte di barche è pronto da qualche giorno e da qualche giorno il pellegrinaggio dei fedeli è costante, a tutte le ore.
La Madonna ci aspetta in quella seicenstesca basilica riccioluta e meravigliosa pensata e costruita da Baldassare Longhena per ringraziarla di aver salvato la città dall’ennesima epidemia di peste.
La mattina del 21 novembre si va in pellegrinaggio alla chiesa. Si percorre il ponte votivo su barche che attraversa in Canal Grande. Si entra in chiesa e si accendono lunghe candele. Si rende omaggio al fascino bizantino della Madonna Nigra.
Poi si torna a casa e in tavola c’è appunto la castradina. Non solo per chi fa della tradizione un must ma anche per tanti gourmet e perfino qualche turista avezzo ai forti sapori balcanici.
Perché nulla di più della castradina, nella gustosa cucina veneziana, profuma di Dalmazia. Nessun piatto, neppure i risi in cavroman (castrato tagliato a pezzettini), racconta quanto i veneziani siano imbastarditi o ingentiliti dalle popolazioni dalmate e dalle loro tradizioni.
Fu questa carne speziata e affumicata a fare in suo ingresso in laguna, fu questa la prima carne ad entrare dopo la terribile peste del 1630. Un’epidemia che decimò la popolazione veneziana.
Quando la morte si fermò, i veneziani ringraziarono la Madonna con questo gioiello barocco, ricamo ingegnoso alla fine del Canal Grande.
E ricominciarono a mangiare quella carne speziata che veniva dall’altra sponda dell’Adriatico.
La differenza di oggi è che quel cosciotto di montone è di agnello e non viene né dall’Albania e neppure dalla Bosnia, bensì in buona parte dalla Nuova Zelanda. Unico paese al mondo in grado di rifornire una sola città di cosi tanti cosciotti d’agnellone in un colpo solo e ognuno di un peso attorno a un chilo e mezzo.
Il cosciotto, speziato secondo ricette segrete e tramandate di macellaio in macellaio, viene lasciato in salamoia con spezie e verdure per due mesi, asciugato al forno e a freddo per almeno per un’intera giornata, affumicato per 8 ore, bollito e ribollito, fatto riposare per un’altra decina di ore e infine servito in zuppa con verze soffocate, cipolle e vino.
Anche quest’anno la mia sarà una castradina scampada: solo verze.
Ma se volete mangiare quella originale, eccola qui.